Il silenzio è il migliore alleato per chi cerca il disimpegno morale. Al diavolo. Cosa chiede di solito un palestinese? Libertà. Il diritto islamico in questo senso è molto chiaro: non si può catturare un nemico al di fuori dal campo di battaglia. In caso di cattura di un soldato, le strade sono due: o il prigioniero si converte all’Islam e viene lasciato libero o lui stesso, o qualcuno per lui, paga il riscatto che può essere in denaro o uno scambio di prigionieri. In mancanza di alternative, cioè né conversione né riscatto, il prigioniero deve essere lasciato libero, senza tentennamenti. Nell’attesa, sempre secondo il diritto islamico, il prigioniero deve essere trattato come un ospite, al meglio. Gilad, il giorno della sua disgrazia, era si vestito da soldato e camminava nel campo di battaglia permanente, ma sono passati quasi tre anni dalla sua cattura. Orgoglioso della sua religione, dubito che abbia voglia di convertirsi e il suo governo, per non apparire debole, trova sempre una scusa per rimandare la sua liberazione in cambio di altri prigionieri palestinesi. Un vero mussulmano e un autentico palestinese non può tenere un persona prigioniera finché avrà giustizia. È contro il nostro insegnamento. In questa vita siamo stati di tutto: popolo, profughi, combattenti, martiri, prigionieri ma mai carcerieri ad oltranza. Non giova alla nostra causa. Liberate il soldato Gilad Shalit, i suoi cari lo attendono ansiosi, così come altre migliaia di genitori palestinesi aspettano l’alba. Con uno sguardo al cielo e una mano al cuore. Intanto a qualcuno a Gaza pesa questo lungo silenzio, un coraggioso murales grida libertà. Per tutti.