Penso di essere la persona meno adatta per questo triste reading,
sì, perché mi sento metà straniero e metà italiano:
sono nato altrove e rinato qui, in questa nuova terra, dove ho piantato i miei sogni,
non per scelta ma perché è stato la mia unica occasione.
Da piccolo guardavo il mondo dal buco della serratura e mi pareva grande,
bellissimo.
Oggi, qualcuno vuole chiudere quella serratura e tenersi il mondo per sé.
Impossibile,
la libertà non conosce ostacoli,
tutti lo sanno benissimo ma vai a sapere perché certa gente è felice solo se rende la vita difficile agli altri.
E così, ogni mattina mi sveglio e sono già diviso a metà, confuso,
come l’innamorato o l’ubriaco:
il primo ama la gente, il secondo è stanco del mondo degli uomini,
il primo continua a sognare come un bambino, il secondo spesso si vergogna di questo paese.
Avrei voluto leggervi l’”Orda” di Gian Antonio Stella,
ma voi sapete meglio di chiunque altro come sono stati trattati i vostri immigrati in giro per il mondo,
“Bel paese, brutta gente”, così dicevano gli altri, aggiungendo schifati “non palesemente negri”.
Avrei voluto raccontarvi l’inclinazione razzista di questo paese,
ma mi vergogno perché l’Italia è anche casa mia,
avrei voluto raccontarvi come ci si sente da straniero,
ma sono stanco e vorrei rinnegare tutte le cause.
Non mi resta quindi che raccontarvi l’inizio di questa storia e lasciare a voi la conclusione,
spesso mi hanno giudicato male e per questo non amo giudicare.
Sappiate però che non siamo né santi né criminali,
ma semplicemente essere umani, come voi, a volte buoni e a volte cattivi, dipende quasi sempre dalle circostanze.
Sapete quale è il sogno di un immigrato?
Assaggiare la vita e ritornare a casa sua finalmente libero.
Sì, perché qualcuno ci ha raccontato che in questo paese la gente ama la libertà,
adora i santi e celebra i martiri,
invece molti di noi sono stati messi sulla croce.
Proprio così, esattamente come sotto le dittature o in mezzo alla guerra.
L’unica differenza è che qui si muore in nome della legge,
quella stessa legge che riconosce il diritto di libertà di movimento, ma che non ci dà la possibilità di entrare in un altro luogo, e che ci ha resi clandestini per necessità. Così il sogno per alcuni diventa un incubo senza uscita.
Non era meglio tacere? Parlare di democrazia e di libertà sottovoce?
Chissà, magari ce l’avremmo fatta in un altro modo e vi avremmo risparmiato un certo imbarazzo.
Avvisarci che i vostri valori e i grandi ideali non sono traducibili?
Chissà, magari non avremmo intrapreso questo viaggio inutile e vi avremmo risparmiato tante scuse che sanno di bugie.
Sì, perché qualcuno ci ha raccontato che in questo paese i governanti rispettano i diritti umani,
invece ci siamo ritrovati senza alcun diritto,
cibo per i pesci.
Braccia e non uomini,
è la condanna degli ultimi, con la legge che rende la loro vita difficile e la loro cacciata facile.
ma non per questo smettiamo di sognare,
di guardare il mondo dal buco della serratura
di voler assaggiare una vita migliore e di ritornare a casa finalmente liberi.
A tutti quelli che pensano di partire verso quel non luogo chiamato sogno, a loro dedico queste parole d’amore scritte a macchina:
Patria, siamo senza terra. Casa, è una vecchia valigia da viaggio, piena di umiltà, speranza e voglia di vivere. Identità, siamo nessuno, immigrati, con la pelle bruciata dal sole, su un gommone senza storie, danza sulle onde, come piume, aspettando la costa o la tempesta, poca differenza, scappando da e verso la morte, il silenzio ha la voce triste, dei nostri cupi pensieri: madre, perché mi hai fatto nascere, in questo mondo senza inizio né fine, padre, perché hai perso tutte le guerre, lasciandomi ostaggio del mio destino, senza volto né nome, solo un numero clandestino insignificante. In mezzo a questo mare, vorrei gridare al cielo di mille colori, prima che arrivi la notte, nera, scura senza sogni, Dio, cosa ho fatto di male!? Manca però la voce, me l’hanno rubata a qualche frontiera. Vorrei guardare l’infinito orizzonte, sperando in qualche luce. Non posso, ho lasciato gli occhi fissi sui miei fratelli, sullo sfondo il vecchio albero di olive, dove abbiamo scritto i nostri, veri, nomi, la sua ombra ci proteggeva come una madre, l’ho abbracciato prima di partire, mi è sembrato di sentirlo piangere, forse perché siamo uguali, vogliamo solo vivere in pace.